Un rapporto millenario lega l’acqua al benessere dell’uomo

Acqua, terra e aria: l’interfaccia di questi tre elementi ha da sempre stimolato l’attenzione e la curiosità umana: il romanticismo di un tramonto sul mare e il fascino di una cascata vaporosa sono veri e propri spettacoli della natura. Lo stupore può giungere alla meraviglia se il fattore “acqua” – vero protagonista di queste immagini suggestive – viene veicolato e convogliato ad arte in modo da guidare lo sguardo di chi osserva verso l’infinito oppure verso soluzioni architettoniche o urbanistiche di rara bellezza. Lo sapeva bene Joseph Smith, astuto mecenate inglese del Canaletto, che addirittura suggerì al suo protetto di ridurre le dimensioni delle tele in modo da renderle compatibili con i bagagli dei ricchi lord che, ai tempi della Serenissima, giungevano in Italia per intraprendere il Grand Tour. Gli stessi lord che, appunto, non lasciavano Venezia senza prima essersi accaparrati una veduta della città e dei suoi celeberrimi scorci, arricchendo Smith che con il suo stratagemma favorì non di poco il commercio dei dipinti del pittore veneto.

Venezia. Paesaggio Luca Masotto

Una Venezia splendente, ricca, sontuosa quella del Canaletto. Una Venezia meno solenne, quasi cupa, forse più vera, quella dipinta dal suo “rivale” Francesco Guardi. Di certo, al di là delle diverse esperienze personali dei due maestri, vi è la luce che entrambi hanno catturato: la luce dell’acqua che riflette i timidi raggi del mattino, i palazzi nobiliari, i ponti, i campanili.

 

La Venezia nostrana non poteva che fare proseliti in Nord Europa: da qui un fiorire di città che si definiscono la “Venezia del Nord”. Tra queste, spicca certamente Bruges, piccola cittadina immersa nella regione fiamminga del Belgio. Città medievale che porta benissimo i suoi anni e che anzi fonda sulla conservazione maniacale della propria identità antica il successo turistico che porta centinaia di migliaia di turisti a visitarla tutti gli anni. Piccoli edifici in mattoni, quasi costruzioni per bambini, galleggiano tra i piccoli canali cittadini. Edifici sobri – con il rosso-mattone a dominare – si riflettono sulla superficie dei canali. A poco più di trenta minuti di treno da Bruges, sorge un’altra città belga sull’acqua: Gent. Qui l’architettura si fa più elegante, le facciate dei palazzi quasi sontuose. Ciò che rimane immutato è il rapporto stretto, quasi atavico, tra vita cittadina e acqua. Nei bar e nei ristoranti che affacciano sul Graslei, gli abitanti di Gent trascorrono infiniti pomeriggi all’aperto sia in estate – rinfrescandosi con una corposa birra belga – sia in inverno, sorseggiando un caffè caldo. Lo stesso fanno i numerosi turisti, ben riconoscibili in quanto avvolti nelle coperte offerte come consuetudine dei gestori dei locali dell’Europa del nord.

Gent. Canale. Luca Masotto

L’acqua dispone di un grande potere unificante. Se da un lato segna i confini o divide parti distinte la medesima città, dall’altro è in grado di funzionare da trait d’union: sull’acqua si spostano le persone, si movimentano le merci, viaggiano le idee. I Paesi Bassi costituiscono un esempio notevole del dinamismo portato dall’acqua: nel dodicesimo secolo, la città di Utrecht decise di dotarsi di un canale – l’Oudegracht, “vecchio canale” – per cambiare il corso di un fiume locale e disporre di un porto lineare dove far attraccare le imbarcazioni. Non passò molto tempo che lungo il canale vennero edificati palazzi signorili e altri edifici dedicati prettamente agli affari. Si venne così a formare una città su due livelli: quello superiore dove scorreva la “normale” vita di terra, fatta di commerci di vicinato, gilde e mercati rionali; quello inferiore, a livello dell’acqua, dove i canali e i moli brulicavano di commercianti all’ingrosso che trasportavano grandi quantità di merce da depositare nei magazzini realizzati al di sotto della sede stradale e degli edifici adiacenti. Oggi il commercio segue altre strade e questi luoghi – un tempo segnati dalla fatica e dal sudore – lasciano spazio a punti di ritrovo, bar e negozi dove lo sguardo segue l’acqua e si perde sino a incontrare un campanile, una facciata o un altro elemento verticale che spezza l’ondeggiante orizzontalità urbana.

Il colore domina Nyhavn, cuore della movida di Copenaghen. Nyhavn, che letteralmente significa “porto nuovo”, è in realtà il porto antico della capitale danese. Costruito alla fine del diciassettesimo secolo per volere di Christian IV, il canale assolse in modo egregio i suoi compiti di fulcro commerciale dal quale partivano e dove arrivavano senza sosta merci di ogni tipo, da ogni angolo del mondo. D’altra parte la vocazione marittima del popolo danese – basta pensare ai vichinghi – ha pochi eguali al mondo. Un popolo abituato a scrutare l’orizzonte, a interrogare le acque profonde degli oceani e le più piccole increspature sotto costa, non poteva certo permettere che questo simbolo cittadino cadesse in rovina. Il quartiere del porto aveva infatti iniziato un declino lento quanto inesorabile che la portò a diventare uno dei posti più malfamati della città. Circa cinquanta anni fa, il governo danese decise che era giunto il momento di dare nuova vita a Nyhavn e sfruttò l’irresistibile richiamo che l’acqua, elemento primordiale, esercita su chi vuole rilassarsi e trovare un seppur labile contatto con la natura. Ecco che il porto fu trasformato in quello che oggi è ironicamente conosciuto come il più grande bar della Scandinavia dove i locali – frequentati tanto dai turisti quanto dai danesi – sono perfettamente integrati nel paesaggio urbano e corrono paralleli al porto canale, ai piedi di edifici storici colorati, come colorate sono da sempre le abitazioni di pescatori, marinai e lupi di mare.

Cervia. Canale. Luca Masotto

Bisogna scendere di latitudine per incontrare un’altra storia di rinascita, legata al mare e, soprattutto, a un altro porto canale. Da sempre rinomata per le saline, sino a qualche secolo or sono, Cervia era saldamente ubicata nell’entroterra romagnolo. Entroterra dal quale dovette suo malgrado migrare a causa delle condizioni di vita insostenibili dovute alla malaria che si era ormai diffusa nelle “valli”. Non solo il territorio acquitrinoso non aiutava a debellare la zanzara vettore della temibile malattia, ma gli spostamenti erano molto complessi per via delle strade spesso impraticabili. Il declino economico sembrava ineludibile, aggravato dalle prime incursioni corsare. Così, la città fu rifondata – per decreto di papa Innocenzo XII – a breve distanza dalla costa: un investimento ingente, necessario alla costruzione del porto canale, dominato dalla torre intitolata a San Michele, dotata di una campana da suonare in caso di avvistamento di navi corsare. Alcuni pezzi di artiglieria proteggevano la città e il magazzino del sale, capace di contenere oltre 10.000 tonnellate del prezioso alimento, un quantitativo davvero sbalorditivo.

 

Il caso di Cervia mostra quindi con estrema chiarezza la capacità dei canali di razionalizzare gli elementi naturali e di adattare il territorio all’utilità dell’uomo, proteggendolo al contempo dalla furia degli elementi naturali e dalle razzie di popolazioni nemiche. Poche decine di chilometri a nord di Cervia, più precisamente a Comacchio, sorge un capolavoro di architettura e ingegneria: il complesso dei Trepponti, conosciuto anche come ponte Pallotta. Costruito nella prima metà del diciassettesimo secolo, proteggeva la città dai tentativi di incursione dal mare. Sotto le sue volte, il canale Pallotta, che accoglie le acque del mare Adriatico, si divide in quattro canali minori, distribuendosi all’interno del centro storico. Su una delle torri del complesso architettonico si può leggere un passaggio di Torquato Tasso che, nella Gerusalemme liberata, scrisse “il pesce colà dove impaluda ne i seni di Comacchio il nostro mare, fugge da l’onda impetuosa e cruda, cercando in placide acque ove ripare”.

I canali del paesaggio (Fabbri M., Masotto L.) è stato pubblicato originariamente sul periodico della Onlus Senza Frontiere.